COMUNICATO STAMPA
La sentenza della Corte Costituzionale, che stupirà ancora di più quando sarà depositata, non lascia dubbi fin d’ora: boccia su tutta la linea l’abolizione e la razionalizzazione delle Province, deliberata anche in maniera piuttosto raffazzonata e confusa dal Governo Monti.
Con la decisione della Consulta, invece, le Province tornano, sul piano dei poteri e delle competenze, allo status quo ante e scompaiono le città metropolitane irrazionalmente individuate, senza che possedessero - almeno nella loro stragrande maggioranza - alcuna delle caratteristiche distintive che lo stesso ordinamento aveva previsto per identificarle, come la presenza di assonanze territoriali di natura culturale, economica, infrastrutturale e vocazionale in genere.
Con il pronunciamento della Corte, scompaiono anche quei sorrisi ironici stampati sul viso di politici di ogni appartenenza, di professori, di costituzionalisti, di politologi e di giornalisti di parte che hanno più che informato i cittadini sostenuto una tesi ideologica, riservando a chi sosteneva le ragioni opposte una sorta di “ascolto infastidito”. Insomma, erano tutti convinti che “il golpe” avrebbe avuto successo, mentre noi, perseveranti come il mugnaio prussiano, abbiamo trovato un “giudice a Berlino”.
Ma di fronte a una presa di posizione così netta da parte di chi ha il dovere di controllo costituzionale dei provvedimenti legislativi, la domanda che sorge è: dove sono i “costituzionalisti”, sempre pronti a sostenere le decisioni della Consulta, quando questa richiama i Poteri dello Stato al rispetto dei principi costituzionali? Dove sono tutti coloro che in convegni, simposi, tavole rotonde e quadrate, si sbracciano nel propugnare il rispetto per la nostra Magna Carta? Nel caso delle Province, infatti, il governo dei Professori, con decreto, ha cercato (senza fortunatamente riuscirci) di stravolgere la Costituzione, ricorrendo a surrettizie pratiche attraverso percorsi tortuosi che nemmeno uno studente al primo anno di Giurisprudenza si sarebbe sognato di proporre.
Una soluzione quella dei tecnici del professor Mario Monti, che il presidente pugliese dell’Upi, Francesco Schittulli, aveva sommessamente già stigmatizzato - anche preconizzandone l’esito - all’inaugurazione della Fiera del Levante nel settembre dello scorso anno. All’epoca, il presidente della Provincia di Bari interpretando la volontà di tutti i presidenti delle Province pugliesi, sottolineò che, molto probabilmente, l’abolizione delle Province era stata cercata e messa in pratica perché bisognava ad ogni costo tagliare alla cieca, perché bisognava in ogni modo tacitare le lobby mediatiche scagliatesi sul tema, le alleanze tra le grandi città, i malcelati interessi delle Regioni e dello stesso Stato., intenzionato a riposizionarsi su di un modello di governance centralistico, con la complicità (politica) delle Regioni, sempre restie a concedere deleghe alle Provincie, che ora non vedono l’ora d’impossessarsi delle competenze delle stesse per attrezzarsi sul territorio con la creazione e la moltiplicazione delle già numerose agenzie, enti, consorzi e quant’altro, veri centri di potere, di clientela e di spesa pubblica, a fronte dell’incidenza di solo l’1,26% del costo delle Province sul Bilancio dello Stato.
Come Upi Puglia, all’indomani della sentenza della Consulta, avevamo salutato con soddisfazione la cancellazione del decreto montiano, certo non ci aspettavamo che lo stesso comportamento venisse da coloro che hanno fatto dell’abolizione delle Province una sorta di campagna politica contro gli sprechi, ma solo per nascondere quelli veri. Perciò ci ha non poco meravigliato il fulmineo comportamento del Governo Letta - che contraddicendo se stesso, perché nel suo programma aveva previsto di rivedere sì la Costituzione, ma all’interno di un disegno di legge costituzionale che ridisegnasse l’architrave istituzionale sia al centro che in periferia - ha presentato, il giorno dopo, un disegno di legge di matrice costituzionale di abolizione delle Province, e basta! E tutto ciò in barba ai 40 e più saggi insediati proprio a questo fine dal Ministro per le Riforme, e degli esiti del sondaggio on-line voluto per ascoltare il parere, l’opinione dei cittadini sulle Riforme. Sorvoliamo sull’utilità dei saggi e sulla richiesta di opinioni on-line, come se In Italia non ci fosse un Governo e un Parlamento che dovrebbero essere composti di saggi e di politici in grado di ascoltare (senza sondaggi on-line) gli elettori, gli italiani. Senza contare che chi ha assunto la decisione delle consultazioni on-line – decisamente dal sapore “grillino” - non sa o finge di non sapere che queste sono appannaggio, e non da ora, di gruppi di potere che utilizzano la rete a proprio piacimento e per fini diversi dalla consultazione e della trasparenza.
In ogni caso, anche l’intempestiva iniziativa dell’abolizione attraverso un disegno di legge costituzionale, quasi sicuramente non andrà a buon fine perché i tempi lunghi del percorso di revisione costituzionale e vista la precaria situazione politica al termine del percorso potrebbe esserci addirittura un altro Governo.
Per quanto ci riguarda, noi restiamo fermi ai nostri posti, nonostante la delegittimazione subita negli ultimi anni sul piano dell’immagine, perché siamo stati regolarmente eletti per tentare di rendere servizi ai cittadini, nonostante i tagli di risorse operate sia dalle Regioni e sia dallo Stato. Ma subito dopo ci riserviamo di aprire un fronte di discussione per individuare le responsabilità dei danni che si sono riversati sulla qualità dei servizi offerti ai nostri cittadini.
Va detto, infine, che noi senza alcuna rivendicazione di carriera, nei prossimi giorni anticiperemo, come Unione delle Province d’Italia, una nostra proposta di riforma della Costituzione. Sarà interessante vedere quale atteggiamento avrà il Governo.