Dopo 15 mesi di (tante) chiacchiere e (pochi) risultati concreti, la riforma delle province avviata dalla legge Delrio (Il ministro Graziano Delrio, nella foto) sembra essere uscita dalle priorità della politica. Il governo se ne è lavato le mani, lasciando il pallino in mano alle regioni, che però stanno temporeggiando. Nel frattempo, gli enti di area vasta sono in una situazione finanziaria disastrosa, dissanguati dai tagli imposti dando per scontato che il riordino delle funzioni e la conseguente riallocazione del personale sarebbero stati completati secondo la tabella di marcia originariamente prevista. Ma così purtroppo non è stato. A mettere in fila tutte le criticità della legge 56/2014, approvata ad aprile dello scorso anno, è stata qualche settimana fa la Corte dei conti, con la deliberazione della Sezione delle autonomie n. 17/SEZAUT/2015/FRG. Il quadro che emerge è decisamente sconfortante: il progetto di riorganizzazione dell’amministrazione locale, scrivono i giudici contabili, sta incontrando ritardi e difficoltà nella fase attuativa. In pratica, il meccanismo avrebbe dovuto funzionare nel seguente modo: le province cedono una parte delle loro funzioni ad altri enti (soprattutto regioni e comuni, singoli o associati) insieme alle relative risorse finanziarie, strumentali e soprattutto umane (ossia il personale). Lo Stato si è assicurato un risparmio immediato dall’operazione, imponendo (con la legge di stabilità 2015) una riduzione della spesa corrente provinciale pari a un miliardo di euro per il 2015, 2 miliardi per il 2016 e 3 miliardi per il 2017...
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